La gestione strategica delle risorse umane è un aspetto difficile da identificare, perché oggi tutti affermano l’importanza del “capitale umano” e tutti sostengono quanto sia strategica la gestione delle “risorse”.
Intanto sarebbe carino un uso più puntuale dei termini: si tratta di persone. Le persone crescono, hanno aspirazioni non dovendo necessariamente essere ambiziose, hanno alti e bassi, amano il confronto e apprezzano il coinvolgimento e il riconoscimento. Un mio capo citava spesso una frase: se ci scambiamo un oggetto, ognuno di noi torna a casa con un oggetto, ma se ci scambiamo un’idea ognuno di noi torna a casa con due idee, la propria e quella dell’altro/a.
Al contrario il concetto di “Capitale umano” mi dice che se c’entra il capitale, ci deve essere una rendita, e il concetto di “risorsa” è spesso associato all’idea di doverla sfruttare, ad esempio le risorse naturali.
Ecco perché preferisco il termine “persone” ed in particolare le persone che crescono, ognuna nella propria direzione, in una logica di “Obiettivo Eccellente” (chiedere agli amici di Six Seconds).
Si diceva della gestione strategica delle persone: se è strategica significa che ha la priorità su tutto, che è determinante nella vita aziendale, al punto che in ogni area, reparto, ufficio, magazzino, fabbrica ogni singola persona ha la consapevolezza di essere strategico ai fini dello sviluppo aziendale.
Il possibile problemino sta nel termine “reciprocità”: se chiedo a un capo quanto sono importanti le persone è facile sentirsi dire che sono strategiche, ma che risposta ottengo se chiedo alle persone se e quanto si sentono strategiche? È facile considerare strategica una persona che porta risultati oggettivi, che lavora 12 ore al giorno e che vuole fare carriera; grazie, questa è una persona ambiziosa, che crescerebbe in qualsiasi contesto, ma non rappresenta la totalità delle persone aziendali.
Può essere più complicato considerare strategica una persona meno visibile, ma non per questo meno importante, una persona magari molto riflessiva, rispettosa dei ruoli e delle situazioni; ma anche una persona che ha avuto in azienda esperienze poco soddisfacenti, alla quale pochi hanno chiesto un parere, che vuole semplicemente dare il proprio contributo in modo professionale e sostanziale anche se meno appariscente.
La gestione delle persone è strategica quando la persona “si sente” strategica.
Ho un bel da dire a una persona che è importante e strategica se nel concreto e nel quotidiano non sono coerente con questa affermazione.
Perché gli aumenti e i benefit tendono ad andare a chi alza la voce?
Perché rifiutare (con molto rispetto ed educazione) una promozione significa diventare invisibile?
Perché facciamo tanti bei discorsi, poi rientrare da una maternità è spesso un percorso ad ostacoli?
Perché i team del reparto HR non danno sempre la sensazione di lottare contro certi comportamenti aziendali evidentemente inaccettabili?
Perché, se il mio capo mi limita nella crescita, andare a parlare più in alto genera spesso qualcosa che assomiglia ad una ritorsione?
Vivere questi “perché” sulla propria pelle può generare un profondo senso di ingiustizia, può essere molto frustrante, e queste emozioni, decisamente poco piacevoli, spesso diventano visibili solo quando è troppo tardi. Ed è in quel momento che le aziende si accorgono di aver perso persone importanti, e i manager meno attenti se ne chiedono anche il perché.
Non so se avete risposte a queste che sono solo alcune delle domande che dovremmo porci ogni giorno in azienda: dal mio osservatorio posso dire che da oltre 16 anni entro nelle aziende di ogni tipo e dimensione, spesso parlando con l’Imprenditore, e so per certo che la stragrande maggioranza di loro ha una grande considerazione delle proprie persone e le ha veramente nel cuore.
Ma allora dove si incastra il meccanismo? Perché è evidente che qualcosa, o qualcuno, non funziona come dovrebbe.
Carlo Bisi
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